Domenica 8 e lunedì 9 giugno, i cittadini sono chiamati a votare per i 5 referendum popolari abrogativi: gli aventi diritto potranno esprimersi su quattro quesiti in tema di lavoro (Jobs act, tutele nelle piccole imprese, contratti a termine e sicurezza sul lavoro) e uno relativo alla cittadinanza italiana. A fare il punto è Giuseppe Santarelli, segretario generale della Cgil Marche, sindacato che è tra i principali promotori della consultazione.
Segretario Santarelli, la Cgil è in prima linea nella promozione di questi referendum abrogativi. Qual è il vostro ruolo e perché questa forte mobilitazione?
«Siamo promotori dei primi quattro referendum e sugli altri facciamo parte del comitato promotore. Sono temi che si intrecciano profondamente. Ci tengo a sottolineare che non si tratta di un referendum politico, ma di quesiti che riguardano la vita concreta delle persone. Chiediamo ai cittadini di intervenire attivamente su leggi che, negli anni, hanno progressivamente precarizzato il mondo del lavoro. Questo referendum è per il futuro».
Parliamo della situazione specifica nelle Marche. Quali sono i dati che vi preoccupano e che motivano questa battaglia referendaria?
«I numeri parlano chiaro e sono allarmanti. Nelle Marche, su circa 463mila lavoratori nel settore privato, ben un quarto è assunto a tempo determinato, un terzo è impiegato con un contratto part-time e solo il 51% gode di un contratto a tempo pieno e indeterminato. Per dare una dimensione del cambiamento, solo dieci anni fa questa percentuale era del 67%. In un decennio abbiamo perso 16 punti percentuali di stabilità lavorativa. Questo dato, da solo, basterebbe per spingere ogni cittadino a pronunciarsi su questi referendum abrogativi».
Uno dei temi centrali è la lotta alla precarietà. Quali sono le vostre proposte specifiche attraverso i quesiti referendari?
«Abbiamo assistito a una crescita e a un uso indiscriminato dei rapporti di lavoro a termine, quando invece dovrebbero rappresentare l’eccezione e non la regola. I contratti a termine vanno utilizzati per esigenze reali e temporanee, come la sostituzione di personale in maternità o malattia, o per far fronte a picchi di produzione straordinari. Per questo, chiediamo che le causali che giustificano un contratto a termine vengano reintrodotte e siano obbligatorie fin dal primo giorno».
Un altro aspetto toccato dai referendum riguarda i licenziamenti. Qual è la situazione attuale?
«Quello dei licenziamenti è un altro tema importante. Abbiamo registrato un aumento inquietante dei licenziamenti di natura disciplinare: se nel 2014 erano circa 1.500, nel 2023 sono schizzati a 7mila. Questo indica una maggiore vulnerabilità dei lavoratori».
Ci sono poi altri due quesiti importanti. Può illustrarceli brevemente?
«Certamente. Il terzo quesito mira a eliminare il tetto massimo di indennizzo per i licenziamenti illegittimi nelle aziende con meno di 12 dipendenti, per garantire tutele più eque anche nelle piccole realtà. Il quarto quesito, invece, interviene sulla sicurezza negli appalti, andando a modificare il decreto 81 per rafforzare le responsabilità dell’impresa committente e garantire maggiore sicurezza e diritti ai lavoratori coinvolti nelle catene di appalto. Il quinto quesito rigiarda la cittadinanza e L’obiettivo del referendum abrogativo è ridurre da dieci a cinque anni il periodo di residenza per ottenerla. Ecco pensiamo solo che 7 lavoratori su 10 nei cantieri della ricostruzione sono stranieri e così in tantissimi altri settori chiave».
Qual è l’obiettivo generale di questa iniziativa referendaria? E quali sono le conseguenze della situazione attuale, soprattutto per i più giovani?
«Chiediamo che ci sia un riequilibrio e un rafforzamento dei diritti, perché il lavoro si è impoverito, non solo economicamente ma anche in termini di tutele. Le conseguenze sono tangibili: nelle Marche, secondo dati Istat, circa 2.400 giovani sotto i 34 anni solo nel 2024 hanno lasciato la nostra regione per cercare fortuna all’estero. Parliamo di oltre 17mila negli ultimi dieci anni. È una vera e propria emorragia di talenti e di futuro».
A proposito di giovani, qual è la loro condizione economica nel mondo del lavoro marchigiano?
«La situazione è drammatica. La media degli stipendi per i lavoratori marchigiani sotto i 29 anni si attesta sui 10mila euro lordi annui. È evidente che con queste cifre non si può costruire un futuro, non si può pensare a una famiglia, a un progetto di vita autonomo. Così non si può andare avanti».
Qualcuno potrebbe vedere questa iniziativa come una battaglia contro le imprese. Cosa risponde? E quale pensa sia l’atteggiamento della politica verso questo appuntamento?
«Voglio essere molto chiaro: non facciamo una battaglia contro le imprese, ma per il Paese. Un lavoro stabile, tutelato e dignitosamente retribuito è un vantaggio per l’intera società, imprese comprese, perché stimola i consumi e la crescita. Riguardo alla politica, percepiamo che l’obiettivo di alcuni sia far fallire il referendum, perché ne hanno paura. Temono che i cittadini, attraverso il voto, si riapproprino di un potere decisionale su temi fondamentali».
In conclusione, qual è il suo appello ai cittadini marchigiani in vista dell’8 e 9 giugno?
«L’appello è semplice e forte: andate a votare e votate SÌ. Se il 50% più uno degli aventi diritto si recherà alle urne e voterà SÌ ai quesiti, i cittadini si riprenderanno il potere di incidere sulle proprie condizioni di vita e di lavoro. Dietro questo voto non si nasconde solo la possibilità di migliorare le leggi, ma anche un messaggio chiaro verso un sistema politico che troppo spesso appare sordo alle esigenze reali delle persone. Questo referendum è per il futuro, per un lavoro più giusto e dignitoso per tutti».
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