ORBETELLO. Nei giorni scorsi, in un crocevia tra via Mazzini e via Gioberti, davanti alla chiesa di San Giuseppe, è apparso un cartello che mai ci saremmo immaginati di vedere: “Vietato giocare a pallone”. Un messaggio secco, duro, che sembra cancellare la vitalità e la spensieratezza dei bambini che giocano nei vicoli. Sui social però in molti chiedono che quel cartello venga rimosso.
È come se un pezzo di infanzia, fatto di corse, risate e immaginazione, fosse stato messo al bando. Alzi la mano chi da piccolo non ha giocato in mezzo alla strada, svicolando tra le macchine, in una serie di partite infinite che si chiudevano a sera, con il grido della mamma «venite a cena».
Tutto questo in mezzo a chi si lamentava delle pallonate contro i portoni e chi minacciava di bucare il pallone. Quella era l’infanzia da cui sono venuti fuori una generazione di calciatori, di fuori classe. E non è un caso se la strada è stata, come spesso capita, maestra di vita.
Per chiunque abbia vissuto l’infanzia nei quartieri urbani, il gioco del pallone non è mai stato solo un passatempo. Era un rito collettivo, una piccola scuola di vita. Bastava poco: due pietre per fare i pali, un pallone un po’ sgonfio che rimbalzava sui muri, e i vicoli diventavano uno stadio infinito.
Una tradizione di allegria e litigi. Il pallone tra le strade era più di un gioco. Era un momento in cui i bambini si esprimevano, dove le regole nascevano spontaneamente e venivano negoziate tra risate e litigi. E sì, c’era anche chi urlava dalla finestra: «Guardate che vi buco il pallone!». Quei momenti di scontro e riconciliazione facevano parte della vita, contribuivano a tessere la trama di una comunità. Vietarli è come togliere ai bambini la libertà di immaginare, di costruire ricordi, di vivere la loro poesia quotidiana.
Città o silenzio assoluto? L’energia dei vicoli
Si può comprendere il desiderio di tranquillità, ma non a scapito di ciò che rende una città viva. Il rumore dei bambini che giocano non è disturbo, è vita. È l’energia che unisce generazioni e arricchisce il tessuto sociale.
Privare i bambini di uno spazio dove esprimersi è come togliere l’anima a un quartiere. I suoni dei giochi, delle discussioni, dei sogni che si infrangono e si ricostruiscono non sono solo rumori, ma racconti. E quei racconti sono ciò che dà identità a un luogo.
Rimuovere il cartello, restituire la comunità
Molti cittadini stanno dalla parte dei bambini :«lasciamo che i vicoli respirino», «La città deve tornare a respirare, e lo può fare solo se i bambini continueranno a correre e gridare dietro un pallone» si legge sui social. In tanti chiedono di rimuovere quel cartello: «Lasciamo che i vicoli tornino a essere teatri di risate – si legge – che le finestre si riempiano di curiosi e di qualche urlo di disappunto. Perché una città che non risuona del gioco è una città che ha dimenticato come si vive».
www.maremmaoggi.net è stato pubblicato il 2024-12-09 19:14:02 da Vittorio Patanè
0 Comments