“Ogni anno, il 23 maggio, Palermo
si stringe attorno all’Albero Falcone. E ogni anno,
puntualmente, c’è chi cerca di trasformare un momento di memoria
collettiva in un pretesto per polemiche di parte ideologica,
facendo politica con l’antimafia. Oggi come allora. Quest’anno,
l'”errore imperdonabile” che ha scatenato indignazioni costruite
è stato l’anticipo di pochi minuti della lettura dei nomi delle
vittime, affidata – con senso di responsabilità e profondo
rispetto, come accade da sempre – a Pietro Grasso. Un gigante
nella storia della lotta a Cosa Nostra, componente storico del
Pool antimafia, già Procuratore nazionale antimafia e Presidente
del Senato, amico vero di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e
anche componente della nostra Fondazione”. Così la Fondazione
Falcone ricostruisce quanto accaduto il 23 maggio davanti
l’albero Falcone, ammettendo di avere fatto una “papera” con un
riferimento implicito alle papere collezionate dal magistrato
esposte al Museo del Presente.
“È stato lo stesso Grasso – prosegue la nota – ad assumersi
la responsabilità di quanto accaduto. Ma il Presidente non si
deve scusare di nulla, perché – come abbiamo scritto pochi
minuti dopo la lettura dei nomi – “la memoria non è un
cronometro, ma impegno in ogni momento della nostra vita. Sotto
l’Albero, sul palco organizzato dalla Fondazione come ogni 23
maggio, non c’era alcun politico a parlare. Non una passerella,
ma un presidio di memoria.
C’erano le voci di migliaia di studenti arrivati da tutta
Italia, orgogliosi di essere lì per ricordare i loro eroi. Le
loro mani alzate, le lacrime, gli abbracci, i cartelloni: tutto
raccontava la verità di un Paese che non dimentica”. La
Fondazione Falcone, prosegue la nota, “non ha mai avuto paura
delle contestazioni, né ha mai fatto politica. Tra le tante voci
che si sono levate in questi giorni, una su tutte -
straordinario simbolo di incoerenza – respingiamo con forza, sul
piano morale prima ancora che politico: quella del professor
Leoluca Orlando. Perché non possiamo dimenticare che lui fu,
negli anni più difficili, uno dei peggiori nemici istituzionali
di Giovanni Falcone, contribuendo con parole e azioni a isolarlo
e a delegittimarlo, fino a costringerlo a difendersi davanti al
Csm. E non si è mai scusato. A lui, e solo a lui, chiediamo
almeno per una volta – con rispetto ma con fermezza – un
silenzio totale. Un silenzio dignitoso. Un silenzio dovuto. La
memoria non si difende con l’applausometro. Si difende con la
coerenza, con l’impegno, con la verità. E soprattutto con la
responsabilità. Anche ammettendo, come adesso, che abbiamo fatto
una “papera”.”
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