Libertà, a Bari guerra di mala per «la tassa di sovranità»

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BARI – «Il clan più forte era il clan Strisciuglio», comandato all’epoca da Vito Valentino, «però diciamo che il quartiere Libertà era spartito tra due clan, Strisciuglio e Mercante», quest’ultimo retto da Luigi Luisi, «ma quando stava fuori Vito Valentino, se ne scappavano tutti». Il racconto della geografia criminale di un pezzo di città fino a poco meno di un decennio fa è contenuta nelle parole del collaboratore di giustizia Donato Telegrafo, sentito nel processo d’appello bis sulla morte di Luigi e Antonio Luisi, padre e figlio, uccisi secondo la Dda di Bari nell’ambito di una guerra tra gruppi mafiosi per il controllo dello spaccio di droga nel quartiere Libertà.

Il processo è il risultato della decisione della Cassazione di annullare con rinvio le condanne a 20 anni di reclusione inflitte in primo e secondo grado ai cinque presunti responsabili dei due agguati mafiosi, i pluripregiudicati Vito Valentino e Alessandro Ruta, ritenuti i mandanti del primo agguato davanti ad un circolo ricreativo in cui morì il figlio, il 30 aprile 2015; Christian Cucumazzo e Antonio Monno, esecutori materiali dell’omicidio di Antonio Luisi e del tentato omicidio del padre Luigi; Maurizio Sardella, che avrebbe aiutato i sicari dell’agguato al padre, monitorando i movimenti della vittima. Il 31 ottobre 2016 il clan portò a termine l’obiettivo, tornando a colpire Luigi Luisi, che morì in ospedale il 14 novembre dopo due settimane in coma. Ormai irrevocabili le condanne a 20 anni per Domenico Remini, mandante del secondo agguato, a 18 anni per Donato Sardella, figlio di Maurizio, e a 16 anni per Gaetano Remini (questi due confessarono già in primo grado di essere gli esecutori materiali dell’assassinio del padre).

Il pentito racconta dinamiche e alleanze, ricorda la tentata estorsione a Luisi da parte del clan Strisciuglio dopo la scarcerazione di Valentino (una «tassa di sovranità» di 200mila euro). Il collaboratore racconta che «quando è stato scarcerato, Vito Valentino si prese tutto lui sul quartiere Libertà», spiega anche come viaggiavano le informazioni tra affiliati, nella terza sezione del carcere di Bari. «La terza sezione è gestita dal clan Strisciuglio»ha spiegato il collaboratore e «Vito Valentino era il killer del clan sul quartiere, quindi la sua parola contava. Lo dicono tutti nella criminalità di Bari che la parola di Vito contava».

A chiarire quello che successe negli anni a cavallo tra il 2015 e il 2016 con riferimento al controllo mafioso del territorio, è un altro «pentito», Arcangelo Telegrafo. «Al quartiere Libertà è sempre stato il clan Strisciuglio, da Giacomo Valentino, il padre di Vito, Lorenzo Caldarola e altre persone. Poi – ha spiegato il “pentito” – c’è stato un periodo che loro stavano tutti in carcere e ha preso il sopravvento il clan Mercante. E a loro non arrivavano più soldi». Il referente del clan Mercante era Luigi Luisi. La sua morte fu decisa già nel 2015, subito dopo la scarcerazione di Valentino. In quell’agguato, però, per errore morì il figlio Antonio e lui «voleva fare arrivare degli albanesi a Bari per ammazzare chi gli aveva ammazzato il figlio» ha spiegato Telegrafo. A cadere sotto i proiettili dei rivali, poi, è stato lo stesso Luisi.

Stando alle indagini della Squadra mobile, infatti, dopo la scarcerazione nel marzo 2015 del boss Vito Valentino, il clan, con l’obiettivo di acquisire il monopolio nella gestione del traffico degli stupefacenti sul quartiere e punire quello che i «pentiti» definiscono «l’affronto» di Luisi, avrebbe iniziato una «imposizione mafiosa» che culminò nell’agguato.



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www.lagazzettadelmezzogiorno.it è stato pubblicato il 2024-03-27 13:33:18 da

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