Gianni Mura, il nostro “suiveur” preferito del Tour con l’Olivetti

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Piacenza si prepara al Tour de France riscoprendo le pagine e i personaggi più significativi della grande storia della corsa gialla. La nuova puntata della rubrica è dedicata a Gianni Mura, indimenticabile “suiveur” della Grande Boucle. Ha raccontato per tutta la vita le gesta più belle e miserabili di questo sport, così ricco di storie. Le precedenti puntate pubblicate erano su Marco PantaniVincenzo NibaliGino Bartali, Giancarlo PeriniFausto Coppi, Lance Armstrong e Bernard Hinault.

Dicevano che era l’erede di Gianni Brera. In realtà era “solo” Gianni Mura. Nella scia di nessuno, perché non era affatto un imitatore. Retorica non ne ha mai fatta, polemiche fini a sé stesse, nemmeno. E aveva una spiccata sensibilità per il prossimo, chiunque fosse. Se ne è andato a 74 anni, nel marzo 2020, nell’infame epoca del Covid, il grande giornalista sportivo. Ha telefonato in redazione a “La Repubblica” per avvertire che non avrebbe inviato il consueto pezzo domenicale, la storica rubrica “Sette giorni di cattivi pensieri”. Il giorno dopo se ne è andato.

Gianni Mura era il “suiveur”, colui che segue, per eccellenza del Tour de France, la corsa che regalava più personaggi e storie per la sua macchina da scrivere. Già, perché Mura, ancora nell’epoca dei computer portatili, dei tablet e degli smartphone, componeva i pezzi – l’unico di mille giornalisti al seguito – alla sua vecchia macchina da scrivere, una Olivetti Lettera 32, preoccupandosi di procurarsi i nastri inchiostrati per vergare i suoi celebri pezzi. Che venivano poi ritagliati e archiviati in apposite cartelline da schiere di lettori, fan, appassionati e cultori.

Grazie a lui siamo davvero stati in quelle tappe di pianura del Tour, dove non succede mai niente di eclatante, salvo qualche maxi caduta che purtroppo sconquassa la classifica generale. Eppure, anche in quei afosi pomeriggi di luglio, Mura riusciva ad offrire ai suoi lettori il ritratto di uno sconosciuto gregario del gruppo, in fuga alla ricerca di qualche inquadratura televisiva e un po’ di gloria. Una volta scrisse: «In Italia se fai i 200 chilometri di fuga e ti prendono all’ultimo sei un coglione, in Francia sei un combattente, quasi un eroe». Il confronto tra le due culture tricolori spuntava sempre, tra le righe. 

Oppure era in grado di raccontare il dietro le quinte della corsa, le storie di chi viveva dentro quella macchina organizzativa che un po’ vedremo da vicino il prossimo 1° luglio nella nostra città. Per lui ogni persona aveva una storia da raccontare, la sua storia. Bastava ascoltare e capire, a taccuino e cuore aperto. Il Tour era generoso di storie e lui le raccoglieva da terra praticamente tutte. È stato un “pittore dell’umanità” e sapeva distinguere l’uomo dal ciclista, la persona dallo sportivo.

I suoi giudizi erano sempre giusti e i lettori si potevano riconoscere nei celeberrimi voti. L’etica, l’onestà e il buon senso davanti a qualsiasi altro valore. D’altronde era un “bartaliano” di ferro, nato in un paese dove tutti erano “coppiani”. Quindi, pane al pane e vino al vino.

A proposito: era un esperto di vini e un cultore di gastronomia. E infatti era un amico di Piacenza. Non poteva non esserlo. Scriveva di buona cucina, e ovviamente, di calcio. Uno dei pochi non ascrivibile a una qualche parrocchia calciofila. Simpatizzava per il Piacenza tutto italiano di Gigi Cagni. Ha combattuto diverse battaglie per rinnovare il mondo del pallone. Smentiva e contraddiceva le voci dei padroni del calcio, sempre impegnati a derubarne la poesia per aumentarne il profitto.

Nel 1982, prima della finale dei Mondiali giocata da Italia e Germania, si divertì a pubblicare in un articolo i giudizi della stampa italiana su ogni singolo titolare azzurro durante il girone e dopo la magica cavalcata (Argentina-Brasile-Polonia). Un modo per dimostrare quanto siano “ballerini” certi giudizi. Amava bacchettare i “girouttes”, i voltagabbana, quelli avvezzi alle giravolte per convenienza.

Sui social, grazie a Dio per una volta utilizzati benissimo, i fan si scambiano vecchi articoli di campioni ormai in pensione da tempo. In un ritaglio rileggo il “Mura pensiero”: «Non si può essere avari, nella vita e nel mestiere, bisogna spendersi, meglio dieci righe in più che dieci in meno, semmai qualcuno le taglierà. Meglio un’ora in più con gli amici che un’ora in meno».

Così come si aspettava su Raitre il momento dello scatto di “Pantadattilo”, il fossile raro di Cesenatico che ci ha dato tante emozioni sui tornanti francesi, il giorno dopo un’impresa o una tragedia (come il doping) del ciclismo, si cercava il suo pezzo firmato sul giornale.

Mura ci ha fornito fino all’ultimo il suo coerente metro di giudizio applicato allo sport e alla vita. Chissà cosa avrebbe scritto su questo strano Tour “piacentino”, all’insegna della coppa e del Gutturnio. I ciclisti non possono toccarli, ma lui avrebbe assaggiato anche per loro. E ci avrebbe restituito l’emozione provata come nessuno.

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www.ilpiacenza.it è stato pubblicato il 2024-04-14 06:00:00 da

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