Maniscalco per vent’anni, ora scultore con la motosega: «È un’arte a sé»

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Scolpisce il legno con la motosega, un po’ nella sua vasta aia, un po’ durante alcuni eventi pubblici, fino a creare opere d’arte. Fabio Pini, 43enne originario di Castelleone (Cremona), da quindici anni vive a Vernasca, in Alta Valdarda. Abita a Sasano, un’area ampia e isolata, ma vicina alla strada provinciale 56.

Fino ai 25 anni è cresciuto nel cremonese. «Sin da bambino – spiega – ho cercato un contatto con la natura, sono sempre stato affascinato e attratto dai cavalli, dalla campagna». Ha fatto il maniscalco per vent’anni. Per merito di una relazione del tempo ha scoperto Vernasca. «Da quel momento è nato il desiderio di vivere assolutamente in uno spazio aperto, vicino al bosco».  

Così vive a Sasano, in una sorta di ranch con vista su Vernasca, con Tamara, biologa di Ferrara, sua compagna da quattro anni. Anche lei è un’artista: dipinge, illustra, lavora il rame e le pietre. Inizialmente Fabio si era dedicato all’agricoltura biologica e all’allevamento di asini per la produzione di latte. «Non ho problemi a dirlo – racconta -, ho fallito, ho sbagliato in alcune mosse. Mi sono scontrato con i problemi di queste attività: le limitazioni, le pesantezze della burocrazia. Inoltre ritengo che sia fondamentale avere qualche familiare vicino in grado di dare una mano, un sostegno. Da solo è dura, la collaborazione è imprescindibile».

Però sostiene di avere scoperto delle doti che non pensava di avere. Una manualità che sfocia nell’arte. «Dipingevo da autodidatta da ragazzino e invece che giocare ai videogiochi mi costruivo delle cose in legno con il traforo. Ho recuperato queste velleità quando, tre anni fa, ho scoperto alcuni professionisti su Youtube che costruivano oggetti di ogni tipo con la motosega». Il 43enne è partito dalla realizzazione di una “testa di orso” e da lì, con il suo strumento, non si è più fermato.

Durante la pandemia, d’altronde, il suo fisico ha un po’ ceduto, costringendolo a rivedere alcuni piani. Prima la schiena, poi la rottura di una spalla, hanno fatto calare (e poi abbandonare) l’attività di agricoltore, di maniscalco e di allevatore di cavalli. «Mi sono reinventato dedicandomi a tempo pieno alla scultura. Organizzo o partecipo a spettacoli ed esibizioni dal vivo di questo genere, sono “simposi per motoseghe”», in voga soprattutto tra Valle d’Aosta, Piemonte, Trentino Alto-Adige e Veneto. «Non siamo boscaioli, ma la nostra è un’arte a sé, per mostrare cosa si può fare scolpendo a colpi di motosega».

Riesci a vivere di questo? «Per il momento sì, poi lo saprò dire con certezza tra qualche anno. Comunque non dico che non facciamo la spesa, ma cerchiamo di ridurla ai minimi termini, procurandoci il cibo autonomamente. Non siamo eremiti, ma vogliamo reimparare i ritmi e i consumi di una volta. La pandemia ha fatto riflettere sui consumi, sul denaro, sul ritmo della nostra vita».  

Purtroppo è complesso riuscire a far quadrare i conti senza entrate stabili. «Molte persone del posto – riflette – si danno da fare per non far morire la montagna, coltivando terreni, pulendo i boschi, allevando. È triste che questi volenterosi debbano mantenere un’occupazione che li sostenga e si possano dedicare solamente nel tempo libero a campi, a boschi, stalle. Lo trovo ingiusto».

Fabio, vista la passione, qualcuno ti paragona a Mauro Corona? «Non ambisco ad assomigliargli, d’altronde è un personaggio con tante sfaccettature: scrive, scolpisce, si arrampica. Però grazie alla notorietà ha dato visibilità a questo mondo, alle sculture in legno, all’attività della motosega». Il vernaschino nelle sculture raffigura principalmente animali, spiriti del bosco, folletti, figure umane, mestieri, personaggi fantastici. Mentre taglia il legno, attorno a lui, lo “monitorano” sei cani e due galline, mentre quattro cavalli si godono lo spazio recintato a disposizione.

Gli chiediamo se non rimpianga una esistenza più urbana e comoda. A questo punto del discorso Fabio è un fiume in piena. «Se mi manca qualcosa me la faccio da solo o me lo procuro. Non penso che l’Alta Valdarda sia una zona “svantaggiata”, anzi, è il contrario. Non seguo il modello sociale che è diventato una religione in quest’epoca». Cioè? «Avere a portata di mano o di click qualsiasi cosa, continuando a lamentarsi. Viviamo a ritmi pazzeschi, frenetici, non solo a livello fisico o materiale, ma anche mentale. Si perde la vera natura dell’essere umano. Ho scelto di non portare a Sasano ogni aspetto della vita frenetica della città moderna. Mi sono guardato dentro, per capire cosa volevo».

Il 43enne spiega il suo pensiero. «Sono uno spirito libero, farei fatica a inserirmi in un lavoro da dipendente. Mi piace stare in un paese a scambiare due parole e anche dei favori, come facevano le persone una volta nelle piccole realtà. Significa mantenere certi valori che si sono persi. Qua, quando c’è una nevicata abbondante o ti si rompe un attrezzo, tra la gente scatta la collaborazione».

Discutendo se questa sua scelta di vita sia replicabile da molte o poche persone, Fabio precisa ulteriormente la sua disamina. «Non ho figli, questo incide molto e facilita la mia decisione. Aiuta, inoltre, aver trovato un’altra persona che ti affianca». Però, «essendo nato e cresciuto altrove, forse apprezzo ancora di più questa realtà di chi ci è nato e forse la dà per scontata. Ho sperimentato altre situazioni e ho compreso che è la migliore, almeno per me. Non ho bisogno del supermercato distante dieci metri per vivere. E, in futuro, penso di spostarmi ancora più in montagna, rimanendo nei dintorni, ma salendo di altitudine».

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www.ilpiacenza.it è stato pubblicato il 2024-04-14 06:00:00 da

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